Sono un life coach e un formatore: ti aiuto a prendere la direzione migliore, rispettando la molteplicità che ti contraddistingue.
Sappi che questa puntata è scomoda...
Da anni, nel territorio delle relazioni interpersonali, fioccano i bollini di tossicità sulle persone, non appena iniziano a non darci ciò che vogliamo o a farci soffrire. Ma quello della “persona tossica” non è l’unico bollino che mettiamo, e tra poco vediamo come siamo diventati un po’ tutti esperti di diagnosi nei confronti di chi non è conforme alle nostre aspettative.
Quando ho deciso di fare una puntata sugli effetti del condividere il recente passato affettivo con un nuovo partner, mi è balenato subito nella mente l’incipit potentissimo di un romanzo che lessi anni fa, scritto da Leslie Poles Hartley e pubblicato per la prima volta nel 1953.
Il libro si apriva con queste parole:
“Il passato è una terra straniera, fanno le cose in modo diverso laggiù”.
Nella storia di Peter Pan, la co-protagonista è Wendy, sorella maggiore della famiglia Darling che a soli 10 anni deve prendersi cura dei fratelli più piccoli e viene chiamata “madre” dai bambini perduti, per la sua naturale e innata propensione all’accudimento.
Stiamo vivendo un’epoca di continui cambiamenti e uno degli effetti più devastanti è quello che ci sta succedendo sul piano della soglia di attenzione, che si è abbassata, secondo una ricerca di Microsoft del 2015, a circa 8 secondi.
Al di là dell’ovvio, penso che anche tu provi un certo sconforto quando parli, magari in risposta a una domanda che ti ha fatto il tuo interlocutore, e ti accorgi che lui ha lo sguardo perso altrove, oppure ti guarda ma sembra trapassarti con gli occhi assenti o, peggio ancora, viene sequestrato dal suo smartphone.
Continuo a ricevere nel mio studio persone che stanno vivendo una relazione annoiata, alla deriva, gente delusa dal partner, che non riesce a trovare un modo per riparare qualcosa che si è ormai logorato e, mentre mi raccontano la loro situazione, mi chiedo sempre quale potrebbe essere la campana dell’altro, quale il suo punto di vista, se è vero che davanti a me c’è una santità senza alcuna colpa che, come San Sebastiano, subisce il martirio delle frecce lanciate da un carnefice.
In questa puntata vorrei affrontare un argomento che ritengo importante e sul quale mi piacerebbe darti almeno alcuni spunti su cui riflettere, nonostante per trattarlo in maniera esaustiva non basterebbero ore.
Oggi tocchiamo una tematica nella quale mi imbatto molto spesso quando tengo corsi di formazione a team aziendali.
Va da sé che non esistono noie relazionali solamente tra singoli, ma spesso anche tra reparti differenti, i cui rispettivi capitani si mostrano in competizione tra loro, dando vita a faide interne ancora più deleterie per l’azienda.
Al di là dell’etimologia e della storia di questo vocabolo, quando parliamo di relazioni umane va da sé che la responsabilità sia una dimensione imprescindibile e, se mi segui da un po’, mi avrai sentito ripetere fino alla nausea che dovremmo preoccuparci degli effetti dei nostri comportamenti sugli altri.
La psicologia sociale ha dimostrato da anni che esiste, nella maggior parte delle culture patriarcali, una sorta di “vigilanza sulla mascolinità”, che inizia a essere subita sin dalla più giovane età di un bambino, portandolo a notare su se stesso e sugli altri coetanei qualsiasi devianza dalla norma di genere imposta dalla cultura di appartenenza.