Stiamo vivendo un’epoca di continui cambiamenti e uno degli effetti più devastanti è quello che ci sta succedendo sul piano della soglia di attenzione, che si è abbassata, secondo una ricerca di Microsoft del 2015, a circa 8 secondi.
Al di là dell’ovvio, penso che anche tu provi un certo sconforto quando parli, magari in risposta a una domanda che ti ha fatto il tuo interlocutore, e ti accorgi che lui ha lo sguardo perso altrove, oppure ti guarda ma sembra trapassarti con gli occhi assenti o, peggio ancora, viene sequestrato dal suo smartphone.
Si nasce empatici, per la presenza di uno specifico gene che alcuni hanno e altri no, o avviene qualcosa di diverso?
Gli studi che ho fatto, a partire dalla mole di lavoro di Daniel Goleman, autore del libro INTELLIGENZA EMOTIVA, sono concordi sul fatto che il cervello del neonato sia predisposto, in un certo senso, a imparare l’empatia, ma che non abbia questa capacità già installata quando viene al mondo.
A volte le aziende mi chiamano e mi chiedono corsi sull’ASCOLTO ATTIVO. Se penso che l’essere umano, seppur dotato di un cervello relazionale incredibilmente predisposto all’altruismo, oggi debba fare dei corsi per imparare ad ascoltare, sento un grave amaro in bocca, ma sembra che sia questa la tendenza degli ultimi decenni che, dall’avvento delle nuove tecnologie e soprattutto di internet, vede tutto velocizzato, relazioni comprese, facendo venire meno la pazienza, accorciando i tempi di interazione con gli altri, in un mondo in cui “tutto e subito” è il motto che accompagna la maggior parte di noi occidentali.
In una società di ego che si muovono e si gonfiano in continuazione, dove le bocche vincono sempre sulle orecchie, il primo che si mette in ascolto verrà sicuramente apprezzato dagli altri, proprio perché nessuno di noi è abituato a sentirsi interessante.